Un'altra riflessione di Claudio che pubblico molto volentieri.
Ricordate quando qualche puntata fa, vi raccontai del mio viaggio a Parma insieme al mio amico Paolo Tonelli , per andare ad ascoltare un concerto di musica sinfonica nell’auditorium N. Paganini?
Ebbene, in quell’occasione vi dissi che…… quando la musica ha inizio……e il “Duende” arriva………..non hai più bisogno di altro…….
Ma cos’è il “Duende”?
Proprio una bella domanda! Alla quale non è per nulla semplice trovare risposta!
“Duende” è una parola spagnola, la cui traduzione in italiano corrisponde a folletto, spirito, démone. Ma …….cosa a che fare questo “démone” con la Musica?
La risposta ci viene da un saggio del famosissimo poeta spagnolo Federico Garcìa Lorca.
Nel suo trattato “TEORIA Y JUEGO DEL CANTE JONDO” Garcìa Lorca raffigura il Duende come “lo spirito della terra…. ….il duende bisogna svegliarlo nelle più recondite stanze del sangue”…..
Garcìa Lorca dice: “….i grandi artisti della Spagna meridionale, gitani o flamenchi, sia che cantino, ballino o suonino, sanno che non è possibile nessuna emozione senza l’arrivo del duende. Essi ingannano la gente e possono dare sensazioni di duende senza averlo, come vi ingannano tutti i giorni autori o pittori o stilisti letterari privi di duende; basta, però, prestare un minimo di attenzione, e non lasciarsi guidare dall’indifferenza, per scoprire la trappola e metterli in fuga col loro rozzo artificio. ….”
Capire da dove proviene questa “forza” è veramente un mistero, ma il Duende appare e scompare a suo piacimento, non segue alcuna regola, non si sa da dove proviene, non si sa dove va e soprattutto non si sa dove soffia…….. A volte, lo cerchi, lo vorresti, ma non arriva e a volte…..arriva quando meno te lo aspetti, quando non pensavi arrivasse più….
E’ difficile dare di esso una definizione, ma se dovessimo tentare, potremmo definirlo come lo “Spirito” che anima tutte le forme d’arte, l’ essenza dell’anima che esprime i colori delle emozioni delle danze del popolo gitano, zingaro, nel quale si racchiudono gioia, dolore, morte, amore.
La musica, il canto, la danza, la letteratura, la pittura sono i veicoli tramite i quali il Duende si manifesta a noi.
E’ l’anima e la radice delle danze dei popoli nomadi, del flamenco.
Questa danza tipica andalusa, sensuale, appassionata, prima di essere un ballo è un modo di essere.
Ed è proprio dalla bellissima e intensa descrizione dell’”essere flamenco”, che ci ha reso lo scrittore Tomás Borrás nella sua Elegía del cantaro, che possiamo avvicinarci al “sentire” del Duende.
Ecco le sue parole: “Essere flamenco è avere un'altra carne, un'altra anima, altre passioni, un'altra pelle, altri istinti, desideri: è avere un'altra visione del mondo, con un sentimento grande; il destino nella coscienza, la musica nei nervi, fierezza indipendente, allegria con lacrime; è il dolore, la vita e l'amore che incupiscono; odiare la routine, il metodo che castra; immergersi nel cante, nel vino e nei baci; trasformare la vita in un'arte sottile, capricciosa e libera; senza accettare le catene della mediocrità; giocarsi tutto in una scommessa; assaporarsi, darsi, vivere. Questo."
Ma non sempre, per quanto possiamo invocarlo, il Duende si manifesta a noi. I popoli gitani iniziano le loro danze invocandolo a gran voce, ballano senza sosta per evocare il suo arrivo. Ma se il Duende non si manifesta, smettono di ballare perché le loro danze non possono avere un seguito; quasi a voler significare che quello che cercano non è la Forma, ma l’Essenza delle cose.
Manuel Torres, artista del popolo andaluso, diceva a uno che cantava: “Hai voce, conosci gli stili, ma non ce la farai mai, perché non hai duende”. Pronunciò anche questa splendida frase: “Tutto ciò che ha suoni neri ha duende”. E Garcìa Lorca dice: “Non c’è verità più grande. Questi suoni neri sono il mistero, le radici che affondano nel limo che tutti noi conosciamo, che tutti ignoriamo, ma da dove proviene ciò che è sostanziale nell’arte. Ho sentito dire da un vecchio maestro di chitarra: «Il duende non sta nella gola; il duende sale interiormente dalla pianta dei piedi”. “La vecchia ballerina gitana La Malena esclamò un giorno, ascoltando Brailowski che suonava un frammento di Bach: «Olé! Questo ha duende!», ma rimase annoiata ad ascoltare Gluck e Brahms e Darius Milhaud. Vale a dire, non è questione di facoltà, bensì di autentico stile vivo; ovvero di sangue; cioè, di antichissima cultura, di creazione in atto. Per cercare il duende non v’è mappa né esercizio. Si sa soltanto che brucia il sangue come un topico di vetri……”
Personalmente, quando ascolto e soprattutto vedo il video del finale della II Sinfonia di Brahms diretta da Abbado, non riesco proprio ad annoiarmi, perché traspare pienamente la grande energia che i musicisti trasmettono al pubblico e l’orchestra si trasforma in un grande ciclone di musica. Può tutto ciò, essere frutto solamente del genio dell’uomo? Oppure esiste uno spirito, una forza al di sopra di tutto, che infonde vita e calore ad ogni rappresentazione?
Il Duende è un energia, una fiamma che brucia, è il fuoco sacro della passione che pervade ogni forma d’arte, è continua ricerca di emozioni, continuo divenire e infinito amore verso la forma d’arte. Per trovarlo non esiste studio, né esercizio, né esercitazione, perché il Duende non si controlla e il suo arrivo non può essere calcolato, previsto o deciso.
Il Duende è il suono nero, mistero e dolore della tradizione Africana dei canti degli schiavi, come è il suono o meglio la musica terribilmente infuocata di Nicolò Paganini.
Chi saprebbe spiegarmi il mistero e il genio di questo grande musicista genovese?
Goethe parlando di Paganini fornisce la definizione del Duende: POTERE MISTERIOSO CHE TUTTI SENTONO E CHE NESSUN FILOSOFO SPIEGA.
Il Duende è la forza misteriosa che scaturisce dalla musica, dalla poesia, dalla danza, e quando scaturisce non può essere ripetuta una seconda volta. “Il duende opera sul corpo della ballerina come il vento sulla sabbia”. E’ una forza che nasce, passa e se ne va, senza ripetersi mai. Ma chi è presente, percepisce il suo arrivo e non può rimanere impassibile.
Ecco quindi riassumersi nelle parole di Garcia Lorca il significato del Duende nell’arte: “Quando un artista mostra il duende non ha rivali....quando sopraggiunge presuppone sempre un cambiamento radicale di ogni forma rispetto a vecchi piani, dà sensazioni di freschezza del tutto inedite, con una qualità di rosa appena creata, di miracolo, che produce un entusiasmo quasi religioso...
Il duende è energia, un'energia che capita di suscitare, richiamare – e per richiamarla o suscitarla non c'è mappa né esercizio. E’ il desiderio del desiderio, un'energia che arriva da sotto i piedi come a certe ballerine, o dal fondo della gola come per certi cantanti. Un'energia che accade, e accade talmente da non poter passare inosservata o impercepita, sempre diversa, come i disegni che formano le onde dell'oceano, ma sempre uguale e riconoscibile come tale da tutti. Ma mai è possibile ripeterlo. Il duende non si ripete, come non si ripetono le forme del mare in burrasca. Il duende può comparire in tutte le arti, ma dove lo si trova con maggiore facilità, com’è naturale, è nella musica, nella danza e nella poesia recitata, giacché queste necessitano di un corpo vivo che le interpreti, poiché sono forme che nascono e muoiono di continuo ed elevano i propri contorni su di un preciso presente”.
Garcìa Lorca definisce il Duende in diversi modi, colori, espressioni poetiche, ma forse, nulla ce lo può raffigurare meglio dell’episodio che racconta:
“Una volta, la cantora andalusa Pastora Pavón (chiamata La Niña de los Peines), cupo genio ispanico, cantava in una tavernetta di Cadice. Giocava con la sua voce d’ombra, con la sua voce di stagno fuso, con la sua voce coperta di muschio, e se la intrecciava nella chioma o la bagnava nella manzanilla o la perdeva in intrichi oscuri e lontanissimi. Ma niente, era inutile, gli ascoltatori stavano zitti.
Pastora Pavón finì di cantare nel silenzio.
Solo, e con sarcasmo, un uomo piccolino, di quegli ometti ballerini che escono d’improvviso dalle bottigliette di acquavite, disse a bassa voce: “Viva Parigi!” come a dire: “Qui non ci interessano le capacità, né la tecnica, né la maestria. Ci interessa un’altra cosa!”. Allora la Niña de los Peines si alzò come una folle, conciata come una préfica medievale, trangugiò d’un fiato un gran bicchiere di acquavite come fuoco, e si sedette a cantare senza voce, senza fiato, senza sfumature, con la gola riarsa ma…con il démone. Era riuscita a uccidere tutta l’impalcatura della canzone per cedere il passo a un duende furioso e rovente, amico dei venti carichi di sabbia, che induceva gli ascoltatori a stracciarsi le vesti. La Niña de los Peines dovette squarciarsi la voce perché sapeva che gli ascoltatori erano dei raffinati che non chiedevano forme, bensì midollo di forme, musica pura con il corpo leggero per potersi liberare. Dovette privarsi di facoltà e sicurezze; ossia, allontanare la sua musa e abbandonarsi, perché il suo duende venisse e si degnasse di lottare a viva forza. E come cantò! La sua voce non giocava più, la sua voce era un fiotto di sangue degno del suo dolore e della sua sincerità…”.
”In tutta la musica araba, danza, canzone o elegia, l’arrivo del duende è salutato con energici “Alà, Alà!”, “Dio, Dio!”, così vicini all’ “Olé!” della corrida che forse si tratta della stessa cosa; ed in tutti i canti del sud della Spagna l’apparizione del duende è seguita da sincere grida di “Viva Dio!”; profondo, umano, tenero grido di una comunicazione con la divinità per mezzo dei cinque sensi, grazie al duende che agita la voce ed il corpo della ballerina, evasione poetica e reale da questo mondo. Naturalmente, quando si raggiunge questa evasione, tutti ne godono i benefici: l’iniziato, che vede come lo stile vince una materia povera, e chi non sa, nell’inesprimibile di una autentica emozione”.
Allora impariamo dai ballerini gitani: quando cantiamo, suoniamo o balliamo, facciamolo sempre con l’intento di evocare il Duende.
Il garbo, la grazia, la passione, la personalità e il sentimento sono qualità fondamentali e imprescindibili durante un’esecuzione. Perché quello che conta non è ciò che vediamo ma ciò che sentiamo. E soprattutto, non è ciò che mostriamo a chi ci ascolta, ma è ciò che il pubblico riesce a sentire, a percepire e a godere attraverso noi stessi.
Ricordate quando qualche puntata fa, vi raccontai del mio viaggio a Parma insieme al mio amico Paolo Tonelli , per andare ad ascoltare un concerto di musica sinfonica nell’auditorium N. Paganini?
Ebbene, in quell’occasione vi dissi che…… quando la musica ha inizio……e il “Duende” arriva………..non hai più bisogno di altro…….
Ma cos’è il “Duende”?
Proprio una bella domanda! Alla quale non è per nulla semplice trovare risposta!
“Duende” è una parola spagnola, la cui traduzione in italiano corrisponde a folletto, spirito, démone. Ma …….cosa a che fare questo “démone” con la Musica?
La risposta ci viene da un saggio del famosissimo poeta spagnolo Federico Garcìa Lorca.
Nel suo trattato “TEORIA Y JUEGO DEL CANTE JONDO” Garcìa Lorca raffigura il Duende come “lo spirito della terra…. ….il duende bisogna svegliarlo nelle più recondite stanze del sangue”…..
Garcìa Lorca dice: “….i grandi artisti della Spagna meridionale, gitani o flamenchi, sia che cantino, ballino o suonino, sanno che non è possibile nessuna emozione senza l’arrivo del duende. Essi ingannano la gente e possono dare sensazioni di duende senza averlo, come vi ingannano tutti i giorni autori o pittori o stilisti letterari privi di duende; basta, però, prestare un minimo di attenzione, e non lasciarsi guidare dall’indifferenza, per scoprire la trappola e metterli in fuga col loro rozzo artificio. ….”
Capire da dove proviene questa “forza” è veramente un mistero, ma il Duende appare e scompare a suo piacimento, non segue alcuna regola, non si sa da dove proviene, non si sa dove va e soprattutto non si sa dove soffia…….. A volte, lo cerchi, lo vorresti, ma non arriva e a volte…..arriva quando meno te lo aspetti, quando non pensavi arrivasse più….
E’ difficile dare di esso una definizione, ma se dovessimo tentare, potremmo definirlo come lo “Spirito” che anima tutte le forme d’arte, l’ essenza dell’anima che esprime i colori delle emozioni delle danze del popolo gitano, zingaro, nel quale si racchiudono gioia, dolore, morte, amore.
La musica, il canto, la danza, la letteratura, la pittura sono i veicoli tramite i quali il Duende si manifesta a noi.
E’ l’anima e la radice delle danze dei popoli nomadi, del flamenco.
Questa danza tipica andalusa, sensuale, appassionata, prima di essere un ballo è un modo di essere.
Ed è proprio dalla bellissima e intensa descrizione dell’”essere flamenco”, che ci ha reso lo scrittore Tomás Borrás nella sua Elegía del cantaro, che possiamo avvicinarci al “sentire” del Duende.
Ecco le sue parole: “Essere flamenco è avere un'altra carne, un'altra anima, altre passioni, un'altra pelle, altri istinti, desideri: è avere un'altra visione del mondo, con un sentimento grande; il destino nella coscienza, la musica nei nervi, fierezza indipendente, allegria con lacrime; è il dolore, la vita e l'amore che incupiscono; odiare la routine, il metodo che castra; immergersi nel cante, nel vino e nei baci; trasformare la vita in un'arte sottile, capricciosa e libera; senza accettare le catene della mediocrità; giocarsi tutto in una scommessa; assaporarsi, darsi, vivere. Questo."
Ma non sempre, per quanto possiamo invocarlo, il Duende si manifesta a noi. I popoli gitani iniziano le loro danze invocandolo a gran voce, ballano senza sosta per evocare il suo arrivo. Ma se il Duende non si manifesta, smettono di ballare perché le loro danze non possono avere un seguito; quasi a voler significare che quello che cercano non è la Forma, ma l’Essenza delle cose.
Manuel Torres, artista del popolo andaluso, diceva a uno che cantava: “Hai voce, conosci gli stili, ma non ce la farai mai, perché non hai duende”. Pronunciò anche questa splendida frase: “Tutto ciò che ha suoni neri ha duende”. E Garcìa Lorca dice: “Non c’è verità più grande. Questi suoni neri sono il mistero, le radici che affondano nel limo che tutti noi conosciamo, che tutti ignoriamo, ma da dove proviene ciò che è sostanziale nell’arte. Ho sentito dire da un vecchio maestro di chitarra: «Il duende non sta nella gola; il duende sale interiormente dalla pianta dei piedi”. “La vecchia ballerina gitana La Malena esclamò un giorno, ascoltando Brailowski che suonava un frammento di Bach: «Olé! Questo ha duende!», ma rimase annoiata ad ascoltare Gluck e Brahms e Darius Milhaud. Vale a dire, non è questione di facoltà, bensì di autentico stile vivo; ovvero di sangue; cioè, di antichissima cultura, di creazione in atto. Per cercare il duende non v’è mappa né esercizio. Si sa soltanto che brucia il sangue come un topico di vetri……”
Personalmente, quando ascolto e soprattutto vedo il video del finale della II Sinfonia di Brahms diretta da Abbado, non riesco proprio ad annoiarmi, perché traspare pienamente la grande energia che i musicisti trasmettono al pubblico e l’orchestra si trasforma in un grande ciclone di musica. Può tutto ciò, essere frutto solamente del genio dell’uomo? Oppure esiste uno spirito, una forza al di sopra di tutto, che infonde vita e calore ad ogni rappresentazione?
Il Duende è un energia, una fiamma che brucia, è il fuoco sacro della passione che pervade ogni forma d’arte, è continua ricerca di emozioni, continuo divenire e infinito amore verso la forma d’arte. Per trovarlo non esiste studio, né esercizio, né esercitazione, perché il Duende non si controlla e il suo arrivo non può essere calcolato, previsto o deciso.
Il Duende è il suono nero, mistero e dolore della tradizione Africana dei canti degli schiavi, come è il suono o meglio la musica terribilmente infuocata di Nicolò Paganini.
Chi saprebbe spiegarmi il mistero e il genio di questo grande musicista genovese?
Goethe parlando di Paganini fornisce la definizione del Duende: POTERE MISTERIOSO CHE TUTTI SENTONO E CHE NESSUN FILOSOFO SPIEGA.
Il Duende è la forza misteriosa che scaturisce dalla musica, dalla poesia, dalla danza, e quando scaturisce non può essere ripetuta una seconda volta. “Il duende opera sul corpo della ballerina come il vento sulla sabbia”. E’ una forza che nasce, passa e se ne va, senza ripetersi mai. Ma chi è presente, percepisce il suo arrivo e non può rimanere impassibile.
Ecco quindi riassumersi nelle parole di Garcia Lorca il significato del Duende nell’arte: “Quando un artista mostra il duende non ha rivali....quando sopraggiunge presuppone sempre un cambiamento radicale di ogni forma rispetto a vecchi piani, dà sensazioni di freschezza del tutto inedite, con una qualità di rosa appena creata, di miracolo, che produce un entusiasmo quasi religioso...
Il duende è energia, un'energia che capita di suscitare, richiamare – e per richiamarla o suscitarla non c'è mappa né esercizio. E’ il desiderio del desiderio, un'energia che arriva da sotto i piedi come a certe ballerine, o dal fondo della gola come per certi cantanti. Un'energia che accade, e accade talmente da non poter passare inosservata o impercepita, sempre diversa, come i disegni che formano le onde dell'oceano, ma sempre uguale e riconoscibile come tale da tutti. Ma mai è possibile ripeterlo. Il duende non si ripete, come non si ripetono le forme del mare in burrasca. Il duende può comparire in tutte le arti, ma dove lo si trova con maggiore facilità, com’è naturale, è nella musica, nella danza e nella poesia recitata, giacché queste necessitano di un corpo vivo che le interpreti, poiché sono forme che nascono e muoiono di continuo ed elevano i propri contorni su di un preciso presente”.
Garcìa Lorca definisce il Duende in diversi modi, colori, espressioni poetiche, ma forse, nulla ce lo può raffigurare meglio dell’episodio che racconta:
“Una volta, la cantora andalusa Pastora Pavón (chiamata La Niña de los Peines), cupo genio ispanico, cantava in una tavernetta di Cadice. Giocava con la sua voce d’ombra, con la sua voce di stagno fuso, con la sua voce coperta di muschio, e se la intrecciava nella chioma o la bagnava nella manzanilla o la perdeva in intrichi oscuri e lontanissimi. Ma niente, era inutile, gli ascoltatori stavano zitti.
Pastora Pavón finì di cantare nel silenzio.
Solo, e con sarcasmo, un uomo piccolino, di quegli ometti ballerini che escono d’improvviso dalle bottigliette di acquavite, disse a bassa voce: “Viva Parigi!” come a dire: “Qui non ci interessano le capacità, né la tecnica, né la maestria. Ci interessa un’altra cosa!”. Allora la Niña de los Peines si alzò come una folle, conciata come una préfica medievale, trangugiò d’un fiato un gran bicchiere di acquavite come fuoco, e si sedette a cantare senza voce, senza fiato, senza sfumature, con la gola riarsa ma…con il démone. Era riuscita a uccidere tutta l’impalcatura della canzone per cedere il passo a un duende furioso e rovente, amico dei venti carichi di sabbia, che induceva gli ascoltatori a stracciarsi le vesti. La Niña de los Peines dovette squarciarsi la voce perché sapeva che gli ascoltatori erano dei raffinati che non chiedevano forme, bensì midollo di forme, musica pura con il corpo leggero per potersi liberare. Dovette privarsi di facoltà e sicurezze; ossia, allontanare la sua musa e abbandonarsi, perché il suo duende venisse e si degnasse di lottare a viva forza. E come cantò! La sua voce non giocava più, la sua voce era un fiotto di sangue degno del suo dolore e della sua sincerità…”.
”In tutta la musica araba, danza, canzone o elegia, l’arrivo del duende è salutato con energici “Alà, Alà!”, “Dio, Dio!”, così vicini all’ “Olé!” della corrida che forse si tratta della stessa cosa; ed in tutti i canti del sud della Spagna l’apparizione del duende è seguita da sincere grida di “Viva Dio!”; profondo, umano, tenero grido di una comunicazione con la divinità per mezzo dei cinque sensi, grazie al duende che agita la voce ed il corpo della ballerina, evasione poetica e reale da questo mondo. Naturalmente, quando si raggiunge questa evasione, tutti ne godono i benefici: l’iniziato, che vede come lo stile vince una materia povera, e chi non sa, nell’inesprimibile di una autentica emozione”.
Allora impariamo dai ballerini gitani: quando cantiamo, suoniamo o balliamo, facciamolo sempre con l’intento di evocare il Duende.
Il garbo, la grazia, la passione, la personalità e il sentimento sono qualità fondamentali e imprescindibili durante un’esecuzione. Perché quello che conta non è ciò che vediamo ma ciò che sentiamo. E soprattutto, non è ciò che mostriamo a chi ci ascolta, ma è ciò che il pubblico riesce a sentire, a percepire e a godere attraverso noi stessi.
2 commenti:
è tutto vero.
leggendo questo brano a me è venuta in mente Anna Magnani, lei non ballava, recitava ma con una forza tale che sicuramente era invasa dal duende.
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