martedì 23 dicembre 2008

Guardare in faccia la realtà


Siamo ormai a Natale e quest'anno , per farvi gli auguri, ho scelto uno scritto di Pietro Scoppola che mi è stato inviato da un amico con una mail di auguri.
Non conoscevo questo autore e tanto meno conoscevo questo brano, mi è però piaciuto subito.
Tutti noi abbiamo qualche sofferenza che ci colpisce personalmente o che colpisce qualcuno vicino a noi; riflettere sulla sofferenza e su cosa può essere "la volontà di Dio".
Buona lettura e... buon Natale a tutti!

La sofferenza può essere via alla beatitudine?
Ma mi dibatto fra dolori per le ossa, insonnia dovuta al cortisone, depressione e una terribile debolezza che rende problematico ogni movimento.
Come è difficile, Signore, sentire il tuo invito alla beatitudine in queste circostanze!
Mi sembra sbagliato pensare e dire che quello che accade è volontà di Dio sicché meriti il nostro detto rassegnato «sia fatta la volontà di Dio!». Per carità: è il detto che Gesù ci ha insegnato nel Padre e dunque prezioso e santo. Ma che cosa è la volontà di Dio? È quello che accade?
È molto difficile pensare che la volontà di Dio sia semplicemente quello che accade: possono essere volontà di Dio i cinquanta milioni di morti della seconda guerra mondiale? E perché il mio tumore – per saltare a un piccolo fatto personale – dovrebbe essere volontà di Dio?
Le domande come si sa sono infinite e senza risposta: nel libro di Giobbe Dio loda Giobbe che ha rifiutato le spiegazioni dei suoi mali proposte dai suoi amici, ma alla fine nega a Giobbe ogni spiegazione: «Dove eri tu...».
Dopo la Shoah ci sono teologi che hanno messo in discussione l’onnipotenza di Dio: «se fosse davvero onnipotente non avrebbe potuto consentire...». Si fa strada l’immagine di un Dio che ha rinunciato alla sua onnipotenza? Ma come è possibile immaginare una rinuncia volontaria all’onnipotenza di fronte a uno scempio di milioni di esseri umani, che si sarebbe potuto impedire con l’esercizio di quell’onnipotenza?
Ci rendiamo semplicemente conto che le categorie della nostra razionalità sono del tutto inutilizzabili e che siamo di fonte alla alternativa radicale: o accettare e valorizzare quel tanto (o poco) che la fede ci offre o arrivare alla negazione radicale.
In quello che la fede ci offre il dato fondamentale è che il Dio incarnato partecipa al dolore del mondo e alla sofferenza dell’uomo: partecipa al dolore umano fino al punto di accettare liberamente la morte in croce.
Dunque non siamo soli e il fatto che Dio partecipi in maniera così intensa al dolore ha un significato e un valore che non sappiamo definire ma che intuiamo grande e profondo.
Si può concepire questa partecipazione come sacrificio offerto a Dio Padre come prezzo, come riscatto dei peccati degli uomini? Non mi sembra.
Quello che è certo è che due cose dell’esperienza umana Dio ha mostrato di condividere fino in fondo: il dolore e l’amore.
Deve esserci un nesso stretto fra il dolore e l’amore. Non solo nel senso che l’amore è disposto a pagare il prezzo del dolore, ma forse in un senso più profondo: che nell’amore vi è sempre sacrificio di sé, lacerazione, un dolore intrinseco all’amore stesso. L’amore è sempre consapevole del suo proprio limite e del limite dell’amato. Questo è – mi sembra – il nesso più profondo e inscindibile fra l’amore e il dolore.
Ma se si accetta l’idea che quello che accade non è necessariamente la volontà di Dio, perché il rapporto di Dio con il male del mondo resta incomprensibile e insondabile all’uomo («Dove eri tu...»), allora ne deriva che la volontà di Dio che dobbiamo cercare e chiedere è qualcosa d’altro; è qualcosa che non possiamo solo subire o accettare ma dobbiamo inventare e costruire giorno per giorno, ora per ora. Perché in definitiva la volontà di Dio è la nostra risposta agli eventi.
Nel modo di rispondere all’evento si fa o non si fa la volontà di Dio e una visione realistica, calma, fiduciosa dell’evento mi sembra la premessa fondamentale, sul piano umano e sul piano spirituale, per una risposta costruttiva.
Vedere la realtà, guardarla in faccia, non fingere, non illudersi; non chiedersi: perché a me? Non attribuire a Dio l’accaduto. Guardare laicamente all’evento è la premessa per una risposta all’evento secondo la volontà di Dio.
(Pietro Scoppola)

martedì 16 dicembre 2008

Concerti di Natale

Continuano i concerti che il coro esegue nel periodo natalizio; dopo quello del 3 dicembre svoltosi in occasione della festa di Santa Barbara e di cui ho parlato in un post precedente, siamo stati ad Arcola, l'8 dicembre, nella chiesa di San Nicolò, in occasione dei festeggiamenti di San Nicolò; dopo questo abbiamo fatto un bel concerto nella chiesa di Biassa il 14 di questo mese.
Sabato prossimo (il 20) saremo nella chiesa di Pugliola (lerici) alle ore 21,00 per concludere poi la serie di concerti natalizi il giorno dopo Natale (il 26 dicembre), sempre alle 21,00, al Vespucci 20, il noto locale sul lungomare di Marina di Massa.
Per chi avesse voglia di venirci ad ascoltare ci sono ancora due possibilità e poi, salvo novità dell'ultimo minuto, ci rivedremo per la prossima stagione di concerti.

lunedì 15 dicembre 2008

PIL

Con il termine PIL intendiamo il Prodotto Interno Lordo, quell'unità di misura che, secondo molti, dovrebbe rappresentare il grado di benessere di un paese.
In realtà non è proprio così e, tuttalpiù, può essere considerato un indicatore dell’attività economica.
In economia è spesso utilizzata questa uguaglianza: PIL= C+I+G+NX laddove C sono i consumi, I gli investimenti, G la spesa pubblica e NX le esportazioni nette ovvero le esportazioni a cui sono state sottratte le importazioni.
Questo significa che il Pil non è altro che il valore complessivo dei beni e dei servizi che vengono prodotti in un paese in un certo periodo di tempo (di solito, un anno), indipendentemente dalla nazionalità dei produttori: ecco perché prodotto interno “lordo”.
I motivi per i quali questo valore complessivo non può essere rappresentativo del benessere di una nazione sono molteplici; chi è interessato all'argomento potrà trovare molto materiale (anche su internet) dove questi motivi sono spiegati molto meglio di come potrei fare io.
In questo periodo di crisi economica globale mi ha fatto molto riflettere un discorso tenuto da Robert Kennedy il 18 marzo 1968 alla Kansas University.
Anche se sono trascorsi 40 anni, quel discorso mi sembra quanto mai attuale.
Eccolo.

"Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell'ammassare senza fine beni terreni.

Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell'indice Dow-Jones, né i successi del paese sulla base del prodotto interno lordo (PIL).

Il PIL comprende anche l'inquinamento dell'aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana.

Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari.

Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia, la solidità dei valori familiari, l'intelligenza del nostro dibattere. Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta.

Può dirci tutto sull'America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani."


(Robert Kennedy - Discorso tenuto il 18 marzo 1968 alla Kansas University)

martedì 2 dicembre 2008

Santa Barbara


Cominciano i concerti natalizi del coro.
Il primo concerto sarà il prossimo 3 dicembre presso la chiesa di Santa Barbara e San Nicola di Flue alla Spezia (loc. Fossamastra).
Il concerto è organizzato in occasione della festa di Santa Barbara che è ricordata il 4 dicembre.
Come da tradizione, per il periodo natalizio, il coro eseguirà sia il repertorio natalizio che quello spiritual e gospel.
Alla pagina Concerti del sito del coro è possibile vedere anche i prossimi appuntamenti.

Interessante, in questa ricorrenza, è conoscere la vita di Santa Barbara, martire del III secolo.
Le informazioni sono tratte dal sito Santi e Beati e l'autore è Gian Domenico Gordini.

Esistono molte redazioni in greco e traduzioni latine della passio di Barbara; si tratta, però, di narrazioni leggendarie, il cui valore storico è molto scarso, anche perché vi si riscontrano non poche divergenze. In alcune passiones, infatti, il suo martirio è posto sotto l’impero di Massimino il Trace (235 – 38) o di Massimiano (286 – 305), in altre, invece, sotto quello di Massimino Daia (308 –13). Né maggiore concordanza esiste sul luogo di origine, poiché si parla di Antiochia, di Nicomedia e, infine, di una località denominata “Heliopolis”, distante 12 miglia da Euchaita, città della Paflagonia. Nelle traduzioni latine, la questione si complica maggiormente, perché per alcune di esse Barbara sarebbe vissuta nella Toscana, e, infatti, nel Martirologio di Adone si legge: “In Tuscia natale sanctae Barbarae virginis et martyris sub Maximiano imperatore”. Ci si trova, quindi, di fronte al caso di una martire il cui culto fino all’antichità fu assai diffuso, tanto in Oriente quanto in Occidente; invece, per quanto riguarda le notizie biografiche, si possiedono scarsissimi elementi: il nome, l’origine orientale, con ogni verisimiglianza l’Egitto, e il martirio. La leggenda, poi, ha arricchito con particolari fantastici, a volte anche irreali, la vita della martire: si tratta di particolari che hanno avuto un influsso sia sul culto come sull’iconografia.
Il padre di Barbara, Dioscuro, fece costruire una torre per rinchiudervi la bellissima figlia richiesta in sposa da moltissimi pretendenti. Ella, però, non aveva intenzione di sposarsi, ma di consacrarsi a Dio. Prima di entrare nella torre, non essendo ancora battezzata e volendo ricevere il sacramento della rigenerazione, si recò in una piscina d’acqua vicino alla torre e vi si immerse tre volte dicendo: “Battezzasi Barbara nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Per ordine del padre, la torre avrebbe dovuto avere due finestre, ma Barbara ne volle tre in onore della S.ma Trinità. Il padre, pagano, venuto a conoscenza della professione cristiana della figlia, decise di ucciderla, ma ella, passando miracolosamente fra le pareti della torre, riuscì a fuggire. Nuovamente catturata, il padre la condusse davanti al magistrato, affinché fosse tormentata e uccisa crudelmente. Il prefetto Marciano cercò di convincere Barbara a recedere dal suo proposito; poi, visti inutili i tentativi, ordinò di tormentarla avvolgendole tutto il corpo in panni rozzi e ruvidi, tanto da farla sanguinare in ogni parte. Durante la notte, continua il racconto seguendo uno schema comune alle leggende agiografiche, Barbara ebbe una visione e fu completamente risanata. Il giorno seguente il prefetto la sottomise a nuove e più crudeli torture: sulle sue carni nuovamente dilaniate fece porre piastre di ferro rovente. Una certa Giuliana, presente al supplizio, avendo manifestato sentimenti cristiani, venne associata al martirio: le fiamme, accese ai loro fianchi per tormentarle, si spensero quasi subito. Barbara, portata ignuda per la città, ritornò miracolosamente vestita e sana, nonostante l’ordine di flagellazione. Finalmente, il prefetto la condannò al taglio della testa; fu il padre stesso che eseguì la sentenza. Subito dopo un fuoco discese dal cielo e bruciò completamente il crudele padre, di cui non rimasero nemmeno le ceneri.
L’imperatore Giustino, nel sec. VI, avrebbe trasferito le reliquie della martire dall’Egitto a Costantinopoli; qualche secolo più tardi i veneziani le trasferirono nella loro città e di qui furono recate nella chiesa di S. Giovanni Evangelista a Torcello (1009). Il culto della martire fu assai diffuso in Italia, probabilmente importato durante il periodo dell’occupazione bizantina nel sec. VI, e si sviluppò poi durante le Crociate. Se ne trovano tracce in Toscana, in Umbria, nella Sabina. A Roma, poi, secondo la testimonianza di Giovanni Diacono (Vita, IV,89), s. Gregorio Magno, quando ancora era monaco, amava recarsi a pregare nell’oratorio di S. Barbara. Il testo, però, ha valore solo per il IX sec.; comunque, è certo che in questo secolo erano stati costruiti oratori in onore di B., dei quali fa testimonianza il Liber Pontificalis (ed. L. Duchesne, II, pp. 50, 116) nelle biografie di Stefano IV (816-17) e Leone IV (847-55).
Barbara è particolarmente invocata contro la morte improvvisa (allusione a quella del padre, secondo la leggenda); in seguito la sua protezione fu estesa a tutte le persone che erano esposte nel loro lavoro al pericolo di morte istantanea, come gli artificieri, gli artiglieri, i carpentieri, i minatori; oggi è venerata anche come protettrice dei vigili del fuoco. Nelle navi da guerra il deposito delle munizioni è denominato “Santa Barbara”.
La festa di Barbara è celebrata il 4 dicembre.